Con il referendum del 23 giugno 2016, i cittadini britannici hanno votato a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea – c.d. Brexit – prevista per il 29 marzo 2019.
L’UE e la Gran Bretagna (UK) hanno già avviato i negoziati per un accordo di recesso, il quale costituirà la base dei rapporti post-Brexit tra Unione europea e Regno Unito. Tuttavia, a meno di un anno dalla scadenza, molti rimangono gli aspetti da discutere e gli interrogativi a cui dare risposta. Infatti, la normativa unionale prevede la possibilità di uscita di uno Stato membro dall’Unione e ne disciplina la procedura [Articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE) e articolo 218 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE)] ma tace sulle reali implicazioni di tale recesso.
Ad oggi, due sono le principali alternative che permetterebbero di limitare l’impatto negativo della Brexit sugli scambi commerciali tra UE e UK: unione doganale e accordo di libero scambio.
L’unione doganale potrebbe ricalcare il modello già utilizzato tra UE e Turchia (o tra UE e Andorra) e prevedere l’abbattimento daziario per i prodotti immessi in libera pratica (importati) in una parte ed esportati nell’altra.
L’accordo di libero scambio, invece, si baserebbe sulle regole di origine preferenziale: i prodotti originari di una parte (nel rispetto delle regole di origine preferenziale) beneficerebbero di una riduzione o dell’abbattimento dei dazi all’importazione nell’altra parte.
Nel caso in cui si perseguisse quest’ultima strada, UE e UK potrebbero sottoscrivere un nuovo accordo o il Regno Unito potrebbe restare parte contraente degli attuali accordi di libero scambio siglati dall’Unione con Paesi terzi.
Tuttavia, non è ancora chiaro quale soluzione verrà attuata e quali ambiti saranno oggetto dei negoziati tra le due parti. Su questo tema, ci riserviamo di tornare nei prossimi numeri.
A prescindere da quale sarà la strada percorsa, è evidente che la Brexit porterà ingenti cambiamenti alla struttura degli scambi commerciali tra Unione europea e Regno Unito.
Attualmente, essendo UK membro dell’Unione, le operazioni commerciali con gli altri Stati membri si configurano come vendite e acquisti intra-unionali.
Immaginiamo che un’impresa stabilita nel Regno Unito acquisti bobine dall’Italia. Il fornitore italiano emetterà una fattura commerciale senza applicazione dell’IVA, in quanto, trattandosi di una cessione intra-UE, l’IVA verrà assolta nel Paese di immissione in consumo dei beni. Le bobine verranno spedite dall’Italia alla Gran Bretagna senza dover essere sottoposte ad alcun tipo di controllo doganale e al pagamento di dazi e altri oneri, con un conseguente risparmio di tempo e risorse.
Con la Brexit, il Regno Unito non sarà più parte del territorio doganale dell’Unione. Pertanto, la Gran Bretagna sarà considerata a tutti gli effetti un Paese terzo e la libertà di circolazione delle merci tra UE27 [Configurazione dell’Unione europea post Brexit, con 27 Stati membri] e UK verrà meno.
Riconsideriamo il precedente esempio in uno scenario post-Brexit. L’operazione commerciale non potrà più essere considerata una cessione intra-unionale bensì una vera e propria esportazione dall’Italia e un’importazione nel Regno Unito. Pertanto, dovrà essere presentata una dichiarazione doganale di esportazione in Italia e una dichiarazione di importazione in Gran Bretagna. Le bobine esportate dall’Italia potrebbero essere sottoposte a controllo da parte delle autorità doganali britanniche ed essere soggette al pagamento di dazi e altri oneri, nonché dell’IVA, in UK.
Come è facile intendere, l’espletamento delle procedure doganali comporterà non solo tempi più lunghi ma anche costi più elevati: solo in UK, le aziende dovranno sostenere costi amministrativi addizionali per 4 miliardi di sterline all’anno e 180.000 imprese si troveranno a presentare dichiarazioni doganali per la prima volta [Fonte: Implementing Brexit: Customs, Joe Owem, Marcus Shepheard, Alex Stojanovic, Institute for Government, 2017]. In Germania, è stato stimato che la Brexit provocherà la presentazione di 15 milioni di dichiarazioni doganali in più, che si tradurranno in costo annuo pari a circa 500 milioni di euro [Fonte: Zollkontrollen nach dem Brexit kosten eine Milliarde Euro, Deutscher Industrie- und Handelskammertag, 4 Ottobre 2017].
In generale, le piccole e medie imprese dell’UE saranno quelle colpite maggiormente dall’impatto della Brexit. Infatti, la maggior parte di queste acquista e vende prodotti sul mercato unionale e non ha mai effettuato operazioni commerciali con Paesi terzi. Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, molte PMI si troveranno ad espletare procedure e formalità doganali di import/export a loro nuove.
L’Unione europea e il Regno Unito stanno discutendo in merito alle possibili soluzioni per minimizzare gli oneri derivanti dalla necessità di presentare dichiarazioni doganali.
Tra queste, assume particolare rilievo il self-assessment (autovalutazione), così come previsto dal Codice Doganale dell’Unione [Articolo 185 CDU]. Tale semplificazione consente agli operatori economici, debitamente autorizzati dalle autorità doganali, di espletare formalità e controlli che, normalmente, spetterebbero alle stesse.
Gli operatori di UE e Regno Unito, se autorizzati al self-assessment, non saranno tenuti a presentare dichiarazioni doganali di export e di import per ogni operazione: sarà sufficiente che essi forniscano il proprio numero identificativo come operatori autorizzati alle autorità doganali. Inoltre, gli operatori autorizzati potranno, se del caso, presentare periodicamente (per esempio, una volta al mese) dichiarazioni sintetiche relative alle operazioni commerciali svolte precedentemente.
Tale approccio consentirebbe una riduzione notevole dei costi e dei tempi legati allo sdoganamento delle merci scambiate tra Unione europea e Regno Unito.
Tuttavia, il Codice Doganale dell’Unione limita l’accesso alla semplificazione del self-assessment ai soli Operatori Economici Autorizzati per le semplificazioni doganali (AEOC - Authorized Economic Operator - Customs).
La soluzione del self-assessment sembra, al momento, quella più quotata, almeno a livello unionale.
È per tale ragione che chi non è ancora autorizzato dovrebbe presentare appena possibile domanda di autorizzazione AEO alle autorità doganali competenti, in modo da avvantaggiarsene nei futuri scambi con il Regno Unito.
Altro tema di rilevanza per il nostro settore, è quello dell’origine dei prodotti. Infatti, nel caso in cui venisse scelta l’opzione di un accordo di libero scambio, come già accennato, i prodotti delle due parti potrebbero ottenere l’origine preferenziale e beneficiare di trattamenti daziari agevolati. Come noto, già moltissime imprese rilasciano dichiarazioni del fornitore al fine di attestare l’origine preferenziale dei prodotti da loro venduti ai propri clienti italiani e UE che poi, a loro volta, potranno esportare direttamente i prodotti medesimi o venderli ad imprese che li incorporeranno a prodotti destinati all’esportazione o che, a loro volta, li esporteranno. È questo il caso molto frequente che si verifica per i distributori industriali che si trovano a dover rilasciare dichiarazioni del fornitore per permettere ai propri clienti di godere dei vantaggi derivanti dagli accordi.
Easyfrontier, in quanto partner di FNDI, resta comunque a disposizione delle imprese associate per fornire tutti i necessari chiarimenti e gli strumenti per la corretta individuazione dell’origine dei prodotti acquistati e rivenduti.
Team Ricerca di Easyfrontier Srl