Ritorniamo sul tema tanto sentito quanto complesso dell’origine preferenziale e non preferenziale che si manifesta attraverso le prove di origine, una sorta di passaporto per materie prime e prodotti intermedi o finiti impiegati in processi produttivi che coinvolgono una catena globale del valore sempre più estesa.
Le catene globali del valore, frutto di un inevitabile processo di globalizzazione mondiale, sono da decenni sfruttate come forma efficiente di interconnessione tra economie di diverse dimensioni. All’interno delle GVC, ciascuna impresa è libera di ricavarsi il proprio spazio nei processi produttivi o di approvvigionamento sulla base delle proprie specificità e punti di forza, e, al contempo, di esternalizzare verso terzi servizi e input risparmiando e mantenendo elevata la qualità dei propri prodotti.
Le GVC spostano il livello della competitività che passa da un piano locale/nazionale a uno globale. In tale scenario globale sono coinvolti diversi player ed è fondamentale mantenere elevati i livelli di tracciabilità e trasparenza degli operatori economici per evitare l’attuazione di pratiche di commercio sleale che portino vantaggi a soggetti più scaltri a scapito di coloro che operano nel rispetto delle regole.
In tale senso, il protezionismo e l’innalzamento di barriere verso altri Paesi, non possono essere considerati una soluzione, lo ha ribadito il presidente della seconda economia mondiale, Xi Jinping al 47° World Economic Forum tenutosi a Davos all’inizio di quest’anno e sostenendo che “Perseguire il protezionismo è come chiudersi dentro una stanza buia. Vento e pioggia possono pure restare fuori, ma resteranno fuori anche la luce e l’aria”.
Semplificazioni doganali, accordi di mutua cooperazione tra autorità doganali, sistemi di certificazione e autorizzazioni volte a premiare gli attori più virtuosi della GVC, sono tutti strumenti messi a punto da legislatori e governanti per evitare il confinamento volontario in quella “stanza buia”, cercando al contempo di ridurre tutti gli oneri che gravano sulle aziende esportatrici a cui viene richiesta prova della tracciabilità della propria filiera produttiva.
In questo contesto si inseriscono le prove di origine che rappresentano un vantaggio competitivo per due distinte ragioni che si riflettono anche su due “tipologie” di origine: l’origine preferenziale e quella non preferenziale.
Origine preferenziale e prove di origine
Di origine preferenziale si parla quando si esportano prodotti verso Paesi con cui l’Unione Europea ha stipulato accordi di libero scambio. L’origine preferenziale, ha pertanto una dimensione unionale e non è ascrivibile a un singolo stato membro, ma, per l’appunto, all’Unione Europea. Le prove di origine che l’esportatore è tenuto a fornire ai fini dell’agevolazione daziaria all’import hanno forme diverse e possono variare leggermente in base agli accordi, ma nella sostanza hanno carattere probatorio e costituiscono una vera e propria leva competitiva per il reparto commerciale aziendale che potrà annoverare tra i vantaggi del proprio prodotto, quello di essere importabile a dazio zero o ridotto rispetto a quello di altri competitor.
Tendenzialmente, l’esportatore residente in UE può, per spedizioni di prodotti aventi carattere originario per un valore soglia di 6.000 € - qualora non specificato diversamente nell’accordo - compilare una dichiarazione di origine su fattura. Qualora il valore soglia di 6.000 € venga superato, l’esportatore avrà tre possibilità:
- emettere per ciascuna spedizione un certificato di circolazione EUR1, EUR-MED (in caso di cumulo) ove l’accordo lo preveda, oppure
- diventare esportatore autorizzato e rilasciare dichiarazioni su fattura
- nell’ambito degli scambi preferenziali con il Canada, diventare esportatore registrato
L’imminente entrata in vigore del CETA – Accordo economico e commerciale globale tra UE e Canada – prevista per il prossimo 21 settembre, ha posto i riflettori sul più recente e innovativo metodo di certificazione dell’origine fai-da-te: il Rex, Registered Exporter System.
L’ambito di utilizzo del Rex – sistema istituito dalla Commissione Europea e reso disponibile dal 1° gennaio 2017 (art. 80 RE (UE) 2015/2447) – inizialmente previsto per i Paesi beneficiari del sistema delle preferenze generalizzate (SPG), viene ora esteso anche all’accordo con il Canada. Di tale sistema – che entrerà in vigore in UE a partire dal 1° gennaio 2018 – si tratterà più approfonditamente nei prossimi numeri.
Come trattato nello scorso numero, per poter assicurare il carattere preferenziale delle merci esportate, gli esportatori che non siano essi stessi produttori del bene intermedio immesso nel ciclo di produzione o che si trovino a commercializzare un bene non di loro produzione debbono richiedere ai propri fornitori in UE la long term declaration, documento probatorio dell’origine preferenziale del prodotto.
Si è detto che a partire dal 14 giugno 2017, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento di esecuzione 2017/989, la Commissione Europea ha ritenuto opportuno proporre una modifica finalizzata a rendere più flessibili i termini di validità della dichiarazione (time framework). La dichiarazione, che ha ora una flessibilità nei termini di validità che va dai 12 mesi precedenti alla data di rilascio, ai 6 mesi successivi alla data medesima, avrà validità di 24 mesi rispetto alla data di inizio e riporterà 3 date:
- la data in cui la dichiarazione è compilata (data di rilascio-date of issue)
- la data di inizio del periodo (data di inizio-start date), che non può essere anteriore a 12 mesi prima della data di rilascio o posteriore a 6 mesi dopo tale data;
- la data di termine del periodo (data di termine – end date), che non può essere posteriore a 24 mesi dopo la data di inizio (start date)*.
* Precisiamo che il testo del Regolamento, tradotto in italiano, al punto c) parla di data di termine che non può essere posteriore a 24 mesi dopo la data di rilascio. TUTTAVIA il testo originario, in inglese, così come le traduzioni in francese e spagnolo, riportano start date - date de début - fecha de inicio. Suggeriamo pertanto di utilizzare la data di inizio come termine di riferimento, così come riportato nel testo originale.
Si riporta nel testo una tabella di esempio, sempre con data indicativa, che vuole sostituire la tabella riportata nel numero precedente.
Nel nuovo documento si parla anche delle facoltà per il rispeditore delle merci di avvalersi delle dichiarazioni di origine del fornitore e di tale tematica, di sicuro interesse per il distributore industriale, tratteremo in maniera più approfondita nei prossimi numeri.
Origine non preferenziale e prove di origine
Se della certificazione dell’origine preferenziale sono competenti le autorità doganali, delle prove di origine non preferenziale si occupano le Camere di commercio territorialmente competenti attraverso il rilascio agli esportatori dei certificati di origine. In questo caso, di fronte all’esportatore che spedisca prodotti acquistati da fornitori senza aver effettuato su di essi alcuna lavorazione sostanziale, può porsi un problema: come fare a provare l’origine? Alcuni Paesi richiedono il certificato di origine come requisito all’import, perciò per tenere traccia della propria filiera produttiva, sarà indispensabile per l’esportatore procurarsi una dichiarazione di origine non preferenziale. Sebbene di tale documento non siano presenti modelli ufficiali ed esso non abbia carattere probatorio, tale dichiarazione riportante la descrizione dei prodotti e la relativa origine non preferenziale, può essere utilizzata dall’esportatore quale prova di usata diligenza.
In buona sostanza, lo ribadiamo, le indicazioni sull’origine richieste a esportatori e fornitori, non sono da vedersi come un onere ma piuttosto come strumenti di rivalsa e leve competitive per operatori economici che intendano agire con trasparenza, dando tracciabilità della propria filiera produttiva e sfruttando pienamente le possibilità dategli dall’ampliamento delle catene globali del valore.
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