L'industria manifatturiera italiana risale la china

Il passo resta tuttavia ancora lento e disomogeneo tra i comparti

  • 17 Dicembre 2015
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    L'industria manifatturiera italiana risale la china

Non si tratta di una falsa partenza, simile alle molte che hanno punteggiato la lunga crisi. Le prospettive rivelate dai dati e garantite dalle condizioni internazionali favorevoli e dalla politica di bilancio non più restrittiva sono di consolidamento e progressiva diffusione del recupero. Il Centro Studi Confindustria, nel presentare l’ultimo rapporto Scenari Industriali, dice testualmente “È un nuovo cominciamento impostato su buone fondamenta, non una semplice ripresa congiunturale. Perché il contesto esterno e la realtà interna sono molto cambiati nell’arco degli ultimi anni e anzi stanno ulteriormente mutando quasi sotto i nostri occhi.

Di questi mutamenti profondi e continui le imprese e il sistema tutto devono tener conto, modificando strategie e adottando politiche adeguate, che abbiano al centro l’industria, motore dello sviluppo.”

Trasformazioni

Su base europea, trasformazioni significative ci sono state nella distribuzione tra paesi delle produzioni manifatturiere. Una crescente specializzazione è stata indotta dall’integrazione impressa con l’unione monetaria, dall’aumentata concorrenza degli emergenti e dalla crisi.

La specializzazione è avvenuta seguendo in gran parte i vantaggi comparati, misurati con la produttività, e si è accompagnata ovunque al ridimensionamento del manifatturiero, talvolta anche in termini assoluti e non solo di peso.

Costituisce una cruciale eccezione la Germania (e, fuori dalla UE, la Svizzera) che ha accentuato il connotato di hub: fa leva sulle competenze dei fornitori esteri a minor costo per aumentare la sua potenza di grande esportatore.

Nonostante abbia dovuto arretrare di fronte all’avanzata cinese nelle fasce basse di mercato, il nostro Paese ha ben difeso la specializzazione nei suoi tradizionali comparti di forza legati a moda e design, grazie alla maggiore produttività e all’innalzamento dei valori unitari. Sono comparti che comunque rappresentano appena il 14,5% dell’export italiano totale (dal 21,5% del 1991), a dimostrazione che la robustezza industriale del Paese si fonda sull’esistenza di un’ampia e articolata struttura industriale, che forma una solida piattaforma per il rilancio.

Piattaforma per il rilancio

Rilancio che è cominciato nella seconda metà del 2014, con un passo dapprima titubante e poi più sicuro. Ma a velocità diverse: rispetto al punto di minimo e a fronte di un dato medio di +2,3%, a oggi le variazioni nella produzione vanno dal +70% dei motoveicoli, rimorchi e semirimorchi al +15% di farmaceutica, bevande, abbigliamento, macchinari e attrezzature, al +10% dei mobili e all’ulteriore calo del 3-4% di legno, prodotti in metallo, pelletteria e calzature.

I vuoti scavati dalle due recessioni sono altrettanto differenziati: nei confronti del picco pre-crisi si passa dal -4,3% dell’alimentare al -53,7% del legno, con mobili, tessile e prodotti in metallo a -35% e la sola farmaceutica con segno positivo (+8,9%), essendo la media pari a -24%. Gran parte di questi cali sono da considerare irrecuperabili e corrispondenti a distruzione di capacità. 

 

Continua a leggere l'Executive Corner del Segretario Generale FNDI - Vittorio Dassi - sul numero di Dicembre 2015 de Il Distributore Industriale