Nel complesso scacchiere internazionale, esasperato dal momento di tensione sociopolitica con cui i governi di tutto il mondo sono costretti a confrontarsi, gli scambi commerciali di beni strategici stanno assumendo un ruolo sempre più considerevole. Infatti, di export control, ovvero della politica di monitoraggio e controllo delle esportazioni, si parla oggi più che mai nei tavoli diplomatici di tutto il mondo, essendo ormai evidente il suo ruolo chiave nella gestione delle criticità internazionali.
L’export control si basa, però, su un’antitesi che vede, da una parte la necessità per le imprese dell’Unione di esportare i propri prodotti per essere competitive nel crescente mercato globale e, dall’altra, la necessità di impedire la proliferazione nucleare e degli armamenti in zone critiche del pianeta e di garantire efficacia agli embarghi e alle altre restrizioni soggettive. È la legge che deve regolare questo delicatissimo meccanismo al fine di decidere quanto strette dovranno essere le maglie del filtro che vaglierà le esportazioni, avendo cura di non soffocare le imprese senza però permettere che le merci vengano usate per scopi non leciti. La comprensione e la compliance di questa normativa sono fondamentali per ognuno degli attori che compongono la catena del valore: gli esportatori dei prodotti soggetti a restrizioni all’esportazione richiederanno ai propri fornitori di presentare dichiarazioni che attestino la libera esportazione o meno dei prodotti.
Presa coscienza del grande rilievo dell’export control, l’Unione europea si è dotata di diversi strumenti per normare le restrizioni all’esportazione: il Regolamento CE 428/2009, conosciuto come “regolamento dual use”, il Regolamento CE 267/2012 riguardante gli scambi con l’Iran, il Regolamento CE 1236/2005 concernente le restrizioni in merito al commercio di prodotti che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte o la tortura.
Il Regolamento CE 428/2009 ha subito nel tempo diversi aggiornamenti, principalmente intervenendo sull’elenco delle merci duali a causa delle novità tecnologiche che hanno interessato i diversi settori. A partire dallo scorso anno, a seguito della Comunicazione (2014)244 della Commissione, è iniziata una revisione profonda del regolamento stesso, sfociata in una proposta (presentata il 28/ settembre 2016 dalla Commissione) che, oltre ad aggiornare una volta di più l’elenco delle restrizioni sulla base di protocolli internazionali (“Australia Group” - AG, Nuclear Suppliers Group” - NSG, “Wassenaar Arrangement”, “Missile Technology Control Regime – MTCR), ridefinirà ambiti di applicazione e clausole.
Come noto, già nell’attuale versione il Regolamento CE 428/2009 prevede all’articolo 4 la possibilità per l’autorità competente di bloccare le esportazioni di beni che potrebbero essere ritenuti comunque pericolosi o ad utilizzo duale. Si tratta della cosiddetta clausola catch all: nella versione attualmente in revisione del regolamento si prevede un’estensione anche per casi attualmente non previsti.
Le innovazioni apportate nell’ultima revisione toccano anche temi sensibili dal punto di vista sociale, che non di rado preoccupano l’opinione pubblica: saranno infatti passibili di autorizzazione sistemi, infrastrutture e tecnologie digitali che possano causare la violazione dei diritti umani, la cosiddetta human security. I prodotti di sorveglianza digitale (cyber-surveillance), infatti, quali i centri di controllo o i sistemi di conservazione dei dati a causa della possibilità che possano essere utilizzati a fini repressivi dai governi autoritari, verrebbero assoggettati a controlli ed autorizzazione sia in virtù del loro inserimento negli elenchi degli allegati al regolamento sia mediante l’estensione della suddetta clausola catch-all. Rientrano in questa categoria numerosi prodotti complementari delle macchine utensili, come ad esempio i software installati sui macchinari. Il sistema autorizzativo attualmente vigente, invece non viene particolarmente ristrutturato, mantenendo l’attuale ripartizione che prevede 4 tipi di autorizzazioni (vedi Tabella 1).
Ad esse sarà aggiunta un’ulteriore autorizzazione attualmente non disponibile, ma dai forti risvolti pratici: per favorire i progetti plu riennali di grandi dimensioni consentirà, sotto stringenti ipotesi, l’utilizzo di una licenza unica, valida per tutta la durata del progetto.
In sintesi, la proposta cerca di coniugare l’urgenza di un aggiornamento che allinei la normativa con la realtà economica, con un approccio equilibrato alla risoluzione di un problema dalle implicazioni non sempre evidenti. Nell’Unione, le transazioni attualmente soggette a controlli rappresentano 59 mld di euro, ovvero il 3,4% del totale delle esportazioni (e ancor più in Italia: parliamo di molto meno dell’1% sul totale delle esportazioni). L’ipotesi di nuovo regolamento porterebbe la percentuale a crescere significativamente, rendendo il tema delle esportazioni dual use ancor più d’impatto per le imprese. Parallelamente, il governo italiano è attualmente impegnato nell’emanazione di un decreto legislativo che ha già ottenuto parere favorevole da parte del Senato il 15 settembre 2017 e dalla Camera il 24 ottobre 2017.
Il decreto legislativo avrebbe il fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni unionali e di riunire i diversi profili sanzionatori e autorizzativi per le merci dual use, soggette al regolamento anti tortura e listate per effetto di misure restrittive unionali. Esso inserirebbe, inoltre, tra i prodotti passibili di autorizzazione anche i trasferimenti intangibili di informazioni. Attualmente, la disciplina nazionale di riferimento è rappresentata dai decreti legislativi 96/2003 per quanto riguarda le merci dual use, 11/2007 per quanto riguarda le restrizioni all’esportazione di merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte o la tortura, nonché trattamenti inumani e crudeli e, infine, il 64/2009 concernente le sanzioni per le violazioni delle restrizioni nei confronti dell’Iran. I procedimenti autorizzativi saranno sensibilmente rivisti dal decreto legislativo, in primis con l’introduzione della cosiddetta “licenza zero” che prevede il rilascio da parte del Ministero dello Sviluppo Economico di una dichiarazione che attesterà la non soggezione di un determinato bene ad autorizzazione e, in secondo luogo, mutando la durata di validità dell’autorizzazione specifica individuale. L’autorizzazione specifica individuale, statisticamente più frequente, riguarderà un ampio spettro di soggetti coinvolti nella filiera: l’esportatore, gli intermediari e i fornitori di assistenza tecnica.
È sempre più evidente che interessi apparentemente opposti come quelli degli operatori economici che vorrebbero procedure snelle e veloci e quelli delle istituzioni costrette ad effettuare controlli sempre più capillari ed accurati, debbano essere riuniti sotto l’egida di una soluzione cooperativa. Al riguardo, si ricorda che la Risoluzione 1540 adottata dal consiglio di sicurezza ONU nel 2004, prevedeva una cooperazione tra gli stati in questo senso: i risultati ad oggi sono stati deludenti, come ricordato dalla relazione presentata dalla Commissione al Parlamento europeo nel novembre 2015: la relazione evidenzia un funzionamento molto critico del coordinamento tra gli stati membri. Una soluzione, ipotizzata in numerose sedi, sarebbe l’istituzione di una sorta di “cabina di regia” internazionale composta da esperti provenienti dal mondo accademico, industriale e istituzionale, che dovrebbe elaborare soluzioni in grado di conciliare gli interessi dei diversi soggetti coinvolti. Il futuro delle restrizioni all’esportazione si presenta quindi molto articolato e le imprese devono attrezzarsi per poterlo affrontare al meglio: Easyfrontier mette a disposizione delle aziende associate specifici servizi per l’assistenza sia nell’individuazione dei prodotti da sottoporre ad autorizzazione sia in tutte le fasi connesse all’istruttoria e al controllo dei prodotti esportati.
Luca Buferli, Easyfrontier