La rivoluzione dell’IVA UE

Il VAT Package e il soggetto passivo certificato cambiano le regole del gioco (2021)

  • 13 Aprile 2018
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    La rivoluzione dell’IVA UE

L’attuale sistema dell’IVA intraunionale – che risale a 25 anni fa – risulta oggi obsoleto e non più al passo con i tempi: la diffusione esponenziale dell’e-commerce e la crescente possibilità di sfruttare alcune debolezze della normativa in vigore rendono necessaria una profonda (ed urgente) riforma.

Ad oggi, le operazioni nazionali e le operazioni transfrontaliere sono soggette a due sistemi IVA completamente differenti tra loro: gli ope­ratori attivi a livello transfrontaliero, in media, sopportano costi di conformità aggiuntivi pari all’11% rispetto a quelli delle imprese attive solo a livello nazionale [Ernst & Young, Implementing the “de­stination principle” to intra-EU B2B supplies of goods – Feasibility and economic evaluation study, 2015].

Al fine di evitare distorsioni della concorrenza tra Stati membri che applicano aliquote IVA differenti, le prestazioni di servizi B2C di te­lecomunicazioni, di radiodiffusione o elettronici sono, già dal 2015, imponibili nel luogo di residenza del destinatario e non più nel luogo in cui si trova il prestatore (imposizione basata sul principio della destinazione, che già caratterizza le transazioni B2B) [Commissione europea, COM(2018) 20 del 18 gennaio 2018].

Sempre dal 2015, pertanto, relativamente ai suddetti servizi, è stato reso operativo il MOSS – Mini One Stop Shop (mini sportello unico): regime opzionale di tassazione che consente al fornitore di versare l’IVA secondo le aliquote del Paese di destinazione in un unico stato (Stato membro di identificazione), che viene selezionato a monte dal fornitore durante il processo di registrazione al MOSS e che general­mente coincide con il Paese in cui l’impresa è stabilita.

Nella pratica, il fornitore trasmette telematicamente, attraverso il portale elettronico, le dichiarazioni IVA ed effettua i versamenti dal­lo Stato membro in cui è stabilito; dichiarazioni e versamenti sono trasmesse agli Stati membri di destinazione, cioè gli Stati membri dei consumatori finali. In tal modo, il prestatore non ha necessità di regi­strarsi separatamente in ciascun Paese dell’UE in cui vende i propri servizi.

La Commissione europea ha adottato, il 7 aprile 2016, il c.d. “Piano d’azione sull’IVA”, finalizzato alla creazione di un solido spazio unico europeo dell’IVA.

Il 4 ottobre 2017, la Commissione ha, poi, adottato la prima proposta di introduzione del sistema definitivo di imposizione delle transazio­ni intraunionali (quello attuale è un sistema transitorio), basato sul principio della destinazione: i beni e i servizi sono tassati nello Stato membro di destinazione e ciò fa sì che i fornitori e i prestatori non traggano alcun vantaggio significativo dall’essere stabiliti in uno Sta­to membro che applica aliquote più basse. Pertanto, la diversità del­le aliquote dei diversi Paesi non distorcerebbe il funzionamento del mercato unico e gli Stati membri avrebbero una maggiore flessibilità nella fissazione delle aliquote IVA.

Inoltre, il regime transitorio attualmente in vigore, prevedendo la non imponibilità IVA delle cessioni di beni intraunionali, è altamente esposto alle frodi fiscali. Anche se le prime indagini note risalgono al 1997, è lecito pensare che tale sistema sia stato “crackato” sin dal principio della sua implementazione. Tale meccanismo fraudolento, basato sulla non imponibilità IVA delle transazioni tra imprese sta­bilite in diversi Paesi dell’Unione europea, ha preso il nome – un po’ grottesco – di “frode carosello”.

Per comprenderne meglio il funzionamento, immaginiamo un com­ponente il cui prezzo è comunemente noto, per esempio un micro­processore: un fornitore residente in Germania vende ad un’azienda italiana (detta cartiera) un microprocessore a € 100 non imponibile IVA. La cartiera è una società fittizia, solitamente stabilita dal distri­butore proprio al fine di mettere in atto la frode.

La cartiera vende lo stesso prodotto ad un distributore italiano ad un prezzo inferiore, per esempio € 82+IVA; il distributore italiano, gene­ralmente soggetto inconsapevole della truffa messa in atto, vende il microprocessore a un rivenditore, caricando il prezzo di un margine di guadagno, per esempio € 87+IVA. Infine, il rivenditore vende il mi­croprocessore al consumatore finale italiano a € 90+IVA.

La frode si compie con la cartiera che scompare senza mai versare l’IVA all’erario.

In questo modo, la cartiera (non sempre ideatrice della truffa) con­sente ad un rivenditore di cedere il microprocessore al consumatore finale ad un prezzo competitivo, guadagnando dal mancato versa­mento dell’IVA.

Secondo alcuni studi, tra cui quelli di EY [Ernst & Young, Implemen­ting the “destination principle” to intra-EU B2B supplies of goods – Fe­asibility and economic evaluation study, 2015] e TAXUD [Study and Reports on the VAT Gap in the EU-28 Member States: 2017 Final Report – TAXUD/2015/CC/131], la frode carosello ha raggiunto risultati stra­ordinari: ogni anno, circa € 50 miliardi di euro vengono sottratti ai cittadini e alle imprese unionali, finendo nelle tasche di furbi, orga­nizzazioni criminali e terroristi.

Il c.d. VAT Package – il “pacchetto” di proposte di riforma IVA della Commissione europea – tiene conto di questo enorme problema, pro­ponendo strumenti volti a stroncare le opportunità date dalla frode carosello e da altre frodi fiscali.

Il rimedio, che dovrà essere adottato a seguito dell’emanazione di alcuni Regolamenti destinati ad entrare in vigore il 1° gennaio 2021, è dato dall’eliminazione del c.d. “reverse charge” (ovvero l’inversione contabile), ben noto ai nostri associati: un meccani­smo di applicazione dell’IVA per effetto del quale il destinatario di una cessione di beni o prestazione di servizi, se soggetto passivo

nel territorio di uno Stato, è tenuto all’assolvimento dell’imposta in luogo del cedente o prestatore. Con l’eliminazione del reverse charge, il fornitore (cedente) emetterà la fattura applicando l’IVA secondo l’aliquota del Paese nel quale il bene venduto è destinato ad essere immesso in consumo; la dichiarazione e il versamento dell’IVA dovrà avvenire attraverso lo “sportello unico” (OSS – One Stop Shop) nello Stato membro in cui il cedente ha sede. Gli uffici fiscali nel luogo di residenza dello stesso, in seguito, provvede­ranno a trasferire l’IVA agli uffici fiscali del Paese dell’acquirente (cessionario).

Questi si troverà così nella posizione di creditore d’IVA, analogamen­te a quanto avviene negli acquisti interni; l’unica differenza risiede nel fatto che tale credito verrà maturato solo al momento della positi­va conclusione della transazione tra i due uffici fiscali.

Questo meccanismo, per quanto utile ad evitare le frodi fiscali, po­trebbe creare ingenti disagi ai fornitori che si trovassero a dover an­ticipare somme di IVA significative.

Purtroppo, infatti, ogni volta che si interviene su un problema si ri­schia di danneggiare gli operatori onesti molto più che quelli diso­nesti, attraverso l’aggravio di oneri che, in realtà, potrebbero essere evitati. Proprio per tale ragione, la Commissione europea ha deciso di inserire in un unico pacchetto sia il “rimedio” ai problemi eviden­ziati sia la modalità attraverso cui evitare che le conseguenze di tale rimedio danneggino le imprese corrette e leali.

Tra le proposte presentate, è prevista, pertanto, la figura della Certi­fied Taxable Person (CTP) [COM(2017) 567 final – Proposta di Regola­mento del Consiglio che modifica il Regolamento (UE) n. 904/2010 per quanto riguarda i soggetti passivi certificati] – il “soggetto passivo cer­tificato" [come tradotto nella COM (2017) 566 final del 4 ottobre 2017] - che certifica l’affidabilità dell’impresa dal punto di vista fiscale.

L’introduzione di tale figura permetterebbe un’implementazione graduale del sistema IVA definitivo, dato che nella sua prima fase un soggetto passivo certificato potrà, nelle cessioni intraunionali di beni, applicare il reverse charge. Ciò è concesso perché il soggetto passivo certificato è, per definizione, un contribuente affidabile; di conseguenza, è escluso il rischio che tale operatore non versi l’IVA all’erario.

La figura della Certified Taxable Person si sovrappone idealmente alla figura dell’Operatore Economico Autorizzato (AEO – Authorized Economic Operator), presente nell’ordinamento già dal 2008; a diffe­renza di quanto previsto per la CTP, però, l’AEO è un’autorizzazione riservata agli operatori attivi negli scambi commerciali con Paesi ter­zi al di fuori dell’Unione Europea.

In questi mesi, dopo la pubblicazione dei primi due Regolamen­ti [Regolamento (UE) 2017/2454 e Regolamento di Esecuzione (UE) 2017/2459] e della prima Direttiva [Direttiva (UE) 2017/2455] del VAT Package, i Paesi membri stanno studiando, anche all’interno di gruppi di lavoro costituiti da associazioni di categoria e Camere di Commercio, quali siano le strade percorribili per l’ottenimento dello status di Certified Taxable Person.

Sarà cura di Easyfrontier tenere aggiornati gli associati sull’e­voluzione del pacchetto. In ogni caso, per gli operatori che sia­no importatori ed esportatori, ricordiamo che il conseguimento dell’autorizzazione AEO – anche se non completamente sufficien­te – potrà essere di grande aiuto nell’ottenimento dello status di Certified Taxable Person.

 

Rita Feven Tedros e Matilde Poidomani
Team Ricerca Easyfrontier